Signor, che con pietate alta e consiglio,
(onde tanto più ch'altro al mondo vali)
venisti a medicar gli antichi mali,
del fiorito per te purpureo giglio;
io che scampata da crudele artiglio,
provo gli acerbi e ingiuriosi strali
quanto sian di fortuna aspri e mortali,
a te rifuggo in sì grave periglio;
e solo chieggo umil, che come l'alma
secura vive omai ne la tua corte,
da la vicina e minacciata morte,
così la tua mercè di ben n'apporte
tanto, che l'altra mia povera salma
libera venga per le ricche porte.
[V. 12 B. m'apporte.]
[Questo sonetto leggesi anche nel_: Libro primo delle rime spirituali,
parte nuovamente raccolte da più autori, parte non più date in
luce_. In Venetia, al segno della Speranza, M.D.L. in-12, a carte 40.]